L’Immagine Mancante di Rithy Panh
Di Dario Arpaio, scritto il 12 Dicembre 2014La casa di distribuzione cinematografica Movies Inspired, dedita con passione alla diffusione del cinema di qualità, presenta in esclusiva uno dei più interessanti e originali film in circolazione, L’Immagine Mancante, del regista cambogiano Rithy Panh, già vincitore per Un Certain Regard al 66° festival di Cannes e designato nella cinquina per il miglior film straniero nella corsa all’Oscar, superato poi da La Grande Bellezza di Sorrentino.
Rithy Panh è fuggito dalla Cambogia all’età di 15 anni. Approdato a Parigi, ne ha fatto la sua patria adottiva, divenendo un apprezzato regista e produttore di documentari dedicati perloppiù a far conoscere le vicende legate al genocidio del popolo cambogiano, e per non dimenticare. Il suo cuore è rimasto a Phnom Penh, a quell’aprile del ‘75, quando ha visto morire il padre, la madre il fratello e le sorelle durante la sanguinosa rivoluzione dei Khmer Rossi di Pol Pot. Rithy Panh, come tutti i ragazzini della sua età, era stato costretto ai lavori nei cosiddetti campi di rieducazione, sopravvivendo a stento alla fame e al durissimo lavoro coatto. Nel 1984 il film di Roland Joffè, Le Urla del Silenzio, aveva già offerto un primo approccio narrativo alle atrocità compiute dai Khmer Rossi. L’Immagine Mancante torna a quei terribili giorni e ne offre un affresco di forte impatto visivo, rafforzato ed esaltato dalla testimonianza diretta e da una tecnica cinematografica innovativa nella commistione di filmati d’epoca e animazione, sorretta da una colonna sonora drammaticamente coinvolgente. Attraverso la costruzione e la messinscena di circa 500 figurine di argilla, Rithy Panh narra la tragedia che hanno visto i suoi occhi, ricercando con accorata lucidità l’immagine dell’infanzia che si affaccia gracilmente alla sua mente di cinquantenne con dolore e sconsolata tenerezza. La voce narrante del suo film ci accompagna nel labirinto di una memoria offuscata da lucide lacrime fredde. Il tempo della primavera è stato cancellato in quell’aprile del 1975. Tutto ciò che era è stato annichilito nelle radici dalla volontà distruttrice della Kampuchea, il partito comunista del cosiddetto ‘fratello numero 1’, Pol Pot. Nulla più è stato concesso agli affetti familiari, né al denaro, né alla vita stessa. L’unico bene personale autorizzato erano una forchetta e una gamella e niente altro. I Khmer Rossi imponevano la visione del loro radicale rinnovamento nella costruzione dell’uomo nuovo. Nulla era autorizzato se non il durissimo lavoro nelle campagne della riabilitazione e della morte per fame. Le figurine di terracotta di Rithy Panh hanno gli occhi fissi sulla tragedia, sono spenti per il ripudio delle origini e della storia. Ogni totalitarismo tenta di cancellare il passato e le radici, ma Rithy Panh è sopravvissuto e ha vinto centellinando la sua poesia con estrema grazia nella profonda ricerca di quell’immagine mancante alla sua memoria di uomo e di cineasta. E proprio quella poesia è più alta di ogni sopraffazione della dignità umana, le sopravvive nell’onda di un eterno ritorno alla vita.
Dario Arpaio
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